“Il buon abitare” di Iñaki Ábalos non è un saggio, non vuole insegnare qualcosa in particolare, e nemmeno definire le regole del buon abitare. Si tratta, invece, di un testo che ha l’obiettivo di far riflettere il lettore, riscoprendo il Modernismo, movimento storico che ha delineato una rotta ben chiara per l’Architettura.
ll XX secolo ci ha lasciato in eredità concetti, spunti, idee e progetti sul buon abitare. Secondo l’autore, infatti, questo secolo, in particolare, si è dimostrato in assoluto il più produttivo per gli architetti che hanno dedicato attenzione e passione al tema dell’abitare.
Con “Il buon abitare” l’autore riassume e racconta questo bagaglio di informazioni tramite un percorso che attraversa sette diverse case simbolo del Novecento.
Il libro si configura come una sorta di visita guidata all’interno delle 7 case prese come riferimento, tutte appartenenti al ‘900.
entriamo nelle case a patio di Mies van der Rohe, disegnate dall’artista senza che nessuno gliele abbia commissionate. Molti sono gli aspetti che caratterizzano queste abitazioni. Innanzitutto, sono diverse l’una dall’altra, quindi, non riproducibili in serie. Poi sono create per ospitare una sola persona, e sono pensate per essere posizionate nella periferia della città, come a voler essere un rifugio nel quale potersi isolare. Altro elemento fondamentale è lo spazio: libero, definito da poche mura, ma da grandi aperture verso l’esterno, massimizzando così il rapporto con la natura.
prende come modello la piccola capanna di Heidegger. Anche in questo caso ci troviamo lontani dalla città, addirittura immersi in una selva. La capanna di Heidegger, rispetto alla casa a patio, si arricchisce di oggetti utilizzabili nella vita comune, e si allontana dalla vita solitaria, in quanto il filosofo in questa casa vive con la moglie.
l’autore mette a confronto due realtà, riprese da un film di Jacques Tati, Casa Arpel e Casa Hulot. La prima è una casa fredda e tecnologica, un ambiente unico, dove la famiglia non può avere momenti di privacy. La seconda, invece, è un miscuglio di elementi uniti tra loro senza un senso preciso, ma uno spazio condiviso per tutta la famiglia, dove viene però garantita la privacy e la possibilità di vivere la città.
presa come modello è la villa di Picasso a Cannes. Qui prende vita un’idea di casa estremamente creativa e libera, priva di qualsiasi imposizione e razionalità. Sembra essere la casa ideale di un bambino, che si diverte a costruire uno spazio spontaneo, unico e fantasioso.
descrive la vita di Warhol nella Factory. Si tratta di uno spazio ricavato all’ultimo piano di un edificio produttivo. Un’area aperta, dove tutto all’interno è di color argento. Gli arredi vengono ricavati da elementi di riciclo, gli scarti dElle case vengono recuperati all’interno della Factory. Questo spazio viene poi definito più comunemente “loft”, luogo di ritrovo, di associazione e divertimento, riservato spesso a gente facoltosa e molto elegante.
entrando nel concetto di decostruzione della casa. Con questo termine si delinea una nuova visione dell’abitare. La casa non è più vista come rifugio, ma semplicemente come mezzo che consente di svolgere le funzioni della vita quotidiana. Questa visione completamente diversa porta a riconoscere la propria dimora non più come elemento architettonico, ma come “parassita” all’interno della città.
prende in esame la casa del pragmatismo. Qui l’autore non analizza un unico esempio, ma prende in considerazione più modelli di case. L’abitazione pragmatica si basa non sull’edificio architettonico in sé, ma prende come simbolo la famiglia che la vive. In questo spazio, tutti i componenti vivono la casa a tempo pieno e sfruttano al massimo ogni ambiente. Inoltre, la famiglia vive insieme e nessuno viene lasciato in disparte, ma tutti gli individui sono allo stesso livello.
Leggere questo libro è un po’ come passare in rassegna una serie di modelli di case. Chi, come me, lavora all’interno di un’Agenzia Immobiliare ha la possibilità ogni giorno di entrare in contatto con abitazioni diverse. Ognuna offre al suo interno un’idea di abitare unica e particolare.
La casa, infatti, non è solo mura, arredamento e finiture, ma soprattutto persone e personalità che ci abitano. Possiamo dire che il risultato dell’abitare è dato dall’interpretazione personale del vivere la casa.
Il bello del nostro mestiere è proprio quello di riuscire ad essere da tramite per le persone che desiderano cambiare la propria casa e che non si riconoscono più all’interno delle quattro mura dove vivono. E la nostra gioia più grande è, infatti, quella di riuscire ad esaudire il desiderio di cambio-casa.
“Il buon abitare” di Iñaki Ábalos non è un libro che può essere consigliato a chiunque, ma senza dubbio è adatto agli appassionati di architettura. Vengono descritte le correnti del pensiero contemporaneo, le forme della casa e i modi di progettarla.
E’ vero anche che, all’interno di questa visita guidata, l’autore fa riferimento spesso a concetti della cultura generale e si scollega da quelli strettamente legati all’architettura.
In conclusione, il futuro del buon abitare è nelle nostre mani ed è ancora in evoluzione. Va costruito sulla base delle radici più profonde che i maestri dell’architettura ci hanno lasciato in eredità.
Testo realizzato in collaborazione con Anna Bonvicini