Mi rendo conto sempre di più di quanto le parole che usiamo possano influenzare in modo positivo o negativo il nostro pensiero e quello di chi ci sta accanto. Una comunicazione positiva e di qualità con se stessi prima e con gli altri dopo, è una delle competenze più preziose che possiamo disporre.
La mia riflessione nasce dal fatto che, alle volte, abusiamo di alcuni termini negativi, senza renderci conto che il ridondare di certe parole può suscitare un effetto negativo.
Un esempio è dato dalla parola “problema” che alle volte può venire usata troppo spesso, tanto da diventare un’abitudine.
Alle persone con cui collaboro ho esposto un mio punto di vista.
Oggi nel nostro mestiere (come immagino anche in molti altri) le complicazioni, che derivano da un sistema burocratico, fiscale e legislativo sempre più complesso e dinamico, sono all’ordine del giorno. Quindi, trovarsi davanti a un “problema” è una condizione costante e quotidiana.
Fatta questa premessa, sono arrivato alla conclusione che non si può chiamare con la parola “problema” una situazione che si ripete con frequenza e continuità.
Secondo alcuni formatori, il termine “problema”, inoltre, rientra tra quelle che vengono definite parole killer. In modo istintivo la associamo a situazioni spiacevoli, difficili e le emozioni che suscita sono: preoccupazione, disagio, ansia, fastidio.
Infine, il nostro cervello primordiale, quello più istintivo che regola le funzioni vitali, ha il compito di farci evitare il dolore. Quindi, per una questione di sopravvivenza, il “problema” è visto come una minaccia, un pericolo da cui scappare.
In pratica, inconsapevolmente, questa parola, se usata in modo costante, ci allontana dal raggiungimento dei nostri obiettivi, sia professionali che personali.
Da questo concetto, nasce la sfida che ho voluto lanciare ai miei collaboratori. Evitare di usare la parola “problema”. Di comune accordo si sono stabilite le regole del gioco. In ambito lavorativo, ogni volta che per errore viene pronunciata questa parola, scatta il pagamento di una “multa”.
Un allenamento che diventa un gioco, un modo diretto e concreto per sforzarsi nel trovare un sinonimo a questo termine.
Questa è la nostra sfida: sostituire la parola “problema”, ma la stessa cosa potremmo farla con altre parole che hanno una valenza negativa. Lanciamo la competizione a tutti coloro che vogliono mettersi in gioco e allenarsi a migliorare la propria comunicazione.
Se da un lato la parola “problema” suscita emozioni negative, la parola “sfida”, invece, ci entusiasma e ci stimola a superare i nostri limiti. Siamo portati ad essere attratti dalle sfide: esse sono interessanti e ci obbligano a crescere. Ecco allora che potremmo parlare di sfide più che di problemi.
Di conseguenza, il nostro obiettivo è quello di relazionarci con noi stessi e con i clienti usando sempre meno il termine “problema”, ma proponendo sempre più immagini positive, come sfida o soluzione.
Qualcuno potrebbe obiettare: “Ma si tratta solo di una parola; cosa cambia?”
In realtà cambia molto! Riporto le parole di Matteo Rizzato, tratte dal suo articolo del Blog “L’importanza delle parole”.
Risulta, quindi, evidente che le parole che scegliamo di usare rappresentano un’arma molto forte e diventano lo specchio di ciò che siamo. Quale momento migliore, allora, per elaborare i nostri nuovi propositi. Non attendiamo la fine dell’anno, cavalchiamo subito questa sfida: non problemi, ma soluzioni!
Testo realizzato in collaborazione con Anna Bonvicini